Parola d’ordine 4-3-3. E non potrebbe essere altrimenti, visto il cognome che porta. Karel Zeman, figlio del celebre Zdenek, la scorsa settimana ha compiuto 39 anni, ma per sua stessa ammissione sente parlare di calcio praticamente da quando è nato, pur non avendoci mai giocato. E’ lui ‘mister X’, è lui il colpo a sorpresa del direttore generale Gabriele Martino. Chi ha seguito da vicino la giovanissima carriera del neo tecnico amaranto, ne ha più volte sottolineato la pacatezza e le pause tra una risposta e l’altra. Tratti caratteristici che riconducono a ‘papà Zdenek’, che per Karel ha sempre rappresentato un modello da imitare anche sul campo.
Quella in riva allo Stretto, sarà la sua quinta esperienza in panchina, dopo quelle con Alma Fano, Qormi (campionato maltese), Selargius ed Albano. Niente mezze misure, prendere o lasciare: grandi le amarezze nelle Marche ed in Sardegna, ottimi i risultati a Malta ed in Veneto, laddove Karel ha salvato due squadre che al momento del suo arrivo erano considerate già spacciate. La forza di riemergere e di non farsi abbattere dalle prime sberle: dalle clamorose sconfitte per 6-0 e 9-1 con Fano e Selargius, ai 15 gol segnati in sole tre partite che sono valsi la salvezza del Qormi.
Ed in fondo, cosa vuoi che sia una sconfitta, per chi ha dovuto fare i conti da bambino con un destino in salita, difficile da accettare. E’ il 1966 quando Zdenek Zeman arriva in Italia, due anni dopo in Cecoslovacchia irrompe la ‘primavera di Praga’, che costringe la famiglia Zeman a non poter fare ritorno in patria fino al 1991. «Quando papà ci portò tutti con lui a Praga – racconta Karel in una intervista da brivido rilasciata al Corriere -, un quarto di secolo dopo l’inizio del suo esilio, poté finalmente riabbracciare sua madre Qveta, ma non suo padre Karel, mio nonno, che nel frattempo era morto. Quello fu il momento più acuto della sua sofferenza per l’esilio – il voler essere accanto al padre e non potere. Ma poiché questo era un sentimento che io avevo appreso a riconoscere fin da bambino, del quale sentivo quasi il peso al posto suo, cercavo di evitare l’argomento: gli avrebbe creato emozioni troppo forti da non poterne parlare. E allora facevo mia la sua pena e mi accucciavo sotto di lui…“.
Idee chiare, trasparenti, coraggiose. “La società è la parte più importante– ha dichiarato lo scorso gennaio ai colleghi di Padova,ad un mese dal suo arrivo ad Albano Terme- più dei giocatori. Serve serietà e competenza. Si può ancora fare calcio con le idee? Ci si prova, finchè i presidenti, o chi per loro, lo permettono. Il mio cognome? Mi sento aiutato dalla vita, faccio il mestiere che vorrei fare e per cui rinuncerei a tutto. Dal momento che scelgo una squadra, come l’Abano adesso, sono convinto di quello che faccio e mi sento il migliore“.
Una laurea in lettere con una tesi sul calcio nella letteratura spagnola. Dichiarazioni mai banali, di quelle che possono fare tanto rumore. Ed anche in questo, Karel assomiglia tanto a ‘maestro Zdenek’. “Prima che arrivassi io, il Qormi non faceva più di due passaggi di fila, e quando sentivano parlare di tattica sembrava guardassero un guru“, oppure “l’Albano con me è una squadra da terzo posto, senza di me da diciannovesimo“. Anche per lui, un rapporto conflittuale con i direttori di gara: “L’arbitro di oggi forse tifava Juventus“, disse dopo una sconfitta del suo Selargius, ricordando il rapporto non certo idilliaco tra il padre e la vecchia Signora.
Mister X ha un volto, domani lo guarderemo negli occhi e cominceremo a conoscerlo meglio. Le sue squadre devono verticalizzare. O meglio “verticalizzare che è un piacere”, come ama dire lui. Ma non chiamatelo soltanto “il figlio di Zeman”, perchè Karel, ne siamo certi, è venuto a Reggio per dimostrare un valore che va oltre una parentela così importante. Tutto o niente, il filo sottile di una lucida incoscienza. Benvenuti sull’ottovolante figlio di una tipologia di calcio che forse un pò spaventa, ma porta con sè fascino e coraggio. E di questi tempi, di fascino e coraggio ce n’è un bisogno davvero assoluto…
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