Dalla C1 alla serie A. Attaccante, centrocampista ed infine difensore, ma soprattutto capitano. Più di 270 presenze in amaranto, che ne fanno il secondo giocatore di sempre in quanto a presenze, dietro solo ad Alberto Gatto. Questa è la parte riguardante il calcio giocato, perchè una volta appese le scarpe al chiodo, Simone Giacchetta è tornato nella ‘sua’ Reggina, diventandone responsabile sia del settore giovanile che dell’area tecnica. Gli ultimissimi periodi, pieni di delusioni ed amarezze, non offuscano minimamente la figura di Jack all’interno del ‘mito amaranto’…
“Per adesso sto dedicando più tempo possibile ai miei figli-ha esordito Giacchetta nella puntata odierna di Tutti Figli di Pianca-, e questo non può che farmi felice: organizzo le partite di calcio che giocano con i loro compagni delle elementari, come fossi una specie di Don King (famoso promotore di pugilato statunitense, ndr). Quando fai il padre a tempo pieno, ti accorgi che sono più le cose da imparare anzichè da insegnare. Ovviamente la voglia di tornare in pista c’è, ma ad oggi penso principalmente alla mia famiglia“.
Il tono di Jack si fa decisamente più serio, quando è il momento di affrontare le motivazioni riguardanti il declino della Reggina. “Se si è arrivati al punto di una non iscrizione in Lega Pro, di sicuro ognuno di noi deve assumersi le proprie responsabilità . Sono convinto che le disavventure vere e proprie della Reggina siano cominciate nell’anno di Novellino, quando pur di tornare subito in massima serie la società andò incontro a spese davvero enormi, fuori dalle proprie possibilità e di certo non in linea con quello che fino ad allora era stato il suo modo di operare. Fallendo l’obiettivo, si è creata una voragine che col tempo abbiamo provato a riempire grazie soprattutto all’ottimo lavoro che è sempre stato portato avanti a livello di settore giovanile, vedi alcune cessioni di ragazzi a cifre importanti di ragazzi cresciuti al Sant’Agata, che per un pò hanno dato respiro. In casi del genere tuttavia, i primi intoppi possono rivelarsi letali. La crisi del sistema calcio ha reso impossibili le cessioni di cui parlavo prima, fino all’amaro epilogo che tutti conoscete. In mezzo ad errori e problematiche, ci metterei anche ulteriori fattori che di certo non hanno aiutato la causa, ma è inutile dilungarsi più di tanto…”.
Il rimpianto più grande, è costituito dalla notte di Novara, nel secondo atto della semifinale playoff. “Se avessimo vinto quella partita, così come meritavamo-prosegue-, saremmo tornati certamente in serie A. Siamo stati davvero sfortunati, bastava che quel tiro di Rigoni fosse andato qualche centimetro più in alto o avesse trovato una deviazione, e oggi saremmo qui a parlare di una storia completamente diversa“.
Come nella più intensa delle storie, i ricordi più brutti si fondono con quelli più esaltanti. “Non posso dimenticare di essere stato il primo giocatore della Reggina a mettere piede su un campo di serie A, visto che al Delle Alpi di Torino entrai insieme al capitano della Juve, che all’epoca era Conte. Un’emozione incancellabile, un orgoglio immenso rappresentare non solo quei colori, ma anche quella che sento ancora oggi come la mia città . Torino resta indimenticabile, perchè in quello stadio, oltre a pareggiare con la Juventus, avevamo conquistato la serie A pochi mesi prima. Se però dovessi fare una ipotetica classifica, le emozioni più intense le ho vissute quando abbiamo vinto a Brescia, a Cosenza ed a Pescara, sempre nell’anno coinciso con quella storica promozione“.
Jack e la Reggina, tutto ebbe inizio in una partita del campionato Primavera. “Giocai a Reggio con il Napoli, ricordo che perdemmo 2-0 ma io avevo giocato comunque una buonissima partita, sfiorando il gol in diverse occasioni. Quel giorno c’erano alcuni osservatori della Reggina, tra cui se non ricordo male Orlandi: da lì nacque un interesse concreto, fino alla trattativa che nel ’91 mi portò a Reggio insieme ad Alberti e Bizzarri“.
Tuffi nel passato, emozioni di un calcio che sembra allontanarsi sempre di più. Gente come Giacchetta e Poli, si può ancora trovare nel calcio di oggi? “Inutile girarci intorno, certe figure di calciatori oggi non ci sono, e non so se torneranno. Noi eravamo gente del popolo, perchè abituati sin da bambini a sudare ed a soffrire per raggiungere qualsiasi traguardo, anche il più piccolo. Oggi invece la propensione al sacrificio non c’è, perchè si vive anche fuori dal campo in situazioni decisamente più agiate ed un ragazzo a 18 anni si può trovare già in A o in B senza aver fatto un minimo di gavetta, sentendosi già arrivato come calciatore e come persona“.
L’isola felice del calcio calabrese, oggi si chiama Crotone. “Sono sincero, non mi sarei mai aspettato di vederli così in alto. Questa estate, dopo aver guardato una loro partita di Coppa Italia, ero convinto che avrebbero fatto addirittura fatica a salvarsi, anche perchè privi di un allenatore come Drago, che rientra tra quelli che stimo di più. Li ho rivisti giocare qualche mese dopo, e sembravano il Barcellona. Bisogna fargli i complimenti, sono stati perfetti in tutto. Il segreto del Crotone non sono solo i giovani di primissimo livello, ma anche il mantenimento di senatori come Galardo, che danno l’esempio giusto e facilitano l’inserimento dei nuovi arrivati. Il resto l’ha fatto un ambiente sereno, che ha sempre spinto in bene e mai remato contro…“.
Tempi difficili in riva allo Stretto, i rebus da risolvere non mancano. Quale può essere il futuro dei colori amaranto, e quale è la strada per risorgere? Jack stavolta taglia corto, cavandosela con una frase sibillina ed un sorriso: “Diciamo che nella vita si può sempre fare meglio…“.
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