L’uomo che raccolse la Reggina dalla cenere nel 1986 e con l’apporto della nota cordata di imprenditori reggini che lo seguì in quella folle impresa rilanciò il calcio in riva allo Stretto: ‎l’avvocato Pino Benedetto ha ieri ospitato l’intera squadra di fine anni ’80 a pranzo sul Lungomare. Un momento di rinnovata coesione di un gruppo di professionisti e uomini che ha fatto epoca. Il numero 1 di allora ha riassunto così il suo pensiero in merito, con un pensiero rivolto anche al complicatissimo momento attuale.
“A distanza di tanti anni l’affetto tributato dalla città alla mia Reggina dimostra cosa quella squadra abbia rappresentato nella storia, non solo sportiva, di Reggio Calabria”. Così l’avvocato Pino Benedetto, presidente della società amaranto dal 1986 all’inizio degli anni Novanta, commenta la partita di beneficenza a cui ha partecipato la squadra che dall’87 all’89, allenata da Nevio Scala, vinse il campionato di C1 e sfiorò la serie A, perduta solo ai calci di rigore nello spareggio di Pescara con la Cremonese. “Rivedere in campo la formazione i cui componenti sono conosciuti a memoria dai reggini di ogni generazione – prosegue Benedetto – è stato emozionante e naturalmente mi ha riportato indietro nel tempo, quando tutti, ma soprattutto i calciatori, avevamo parecchi capelli bianchi in meno e molte speranze in più. Ma trovo necessario andare oltre l’aspetto strettamente sportivo – prosegue Benedetto – per soffermarmi sul dato sociale. Migliaia di persone ieri hanno risposto all’appuntamento con la loro storia, a testimonianza del significato che l’esistenza stessa della squadra aveva assunto per Reggio in anni terribili. Gli anni della città dolente, della guerra di ‘ndrangheta e del disinteresse dello Stato rappresentato plasticamente, a mio avviso, dallo sfregio dell’intubata sul lungomare. Quella Reggina, la nostra Reggina – dice ancora Benedetto – è diventata qualcosa di molto più grande di una semplice squadra di calcio: era un simbolo di riscatto sociale e un modello positivo e d’avanguardia venuto dal profondo Sud. Il ‘Sant’Agata’ era una cantera ‘ante litteram’, un modo visionario di interpretare il calcio che altrove si sarebbe imposto solo vent’anni più tardi. Tutto ciò ci faceva sentire orgogliosi di essere calabresi. Credo che per questo la città sia rimasta così profondamente legata a quella squadra”.
L’avvocato Benedetto prosegue: “Voglio ringraziare di cuore gli organizzatori della partita che ha riportato a Reggio i miei ragazzi, è stata una scelta intelligente e generosa che ci ha fatto stringere nuovamente attorno a un simbolo della nostra identità e della nostra storia. In questo momento, però, il mio pensiero va soprattutto a Lillo Foti, che oggi sta vivendo un momento molto particolare sul piano umano prima ancora che dal punto di vista imprenditoriale. La città deve tanto a una società che ha scritto alcune delle pagine più belle della storia di Reggio, momenti di cui Foti è stato indiscusso protagonista. Oggi è giusto stringersi attorno a lui invitandolo a non mollare nelle diverse e difficili battaglie che sta conducendo. Per lui e per tutti noi – conclude Benedetto – prendo in prestito una celebre frase di Al Pacino in uno dei film più belli mai dedicati allo sport: nella vita si può vincere e si può perdere. L’importante è vincere o perdere da uomini”.
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