Sembrano passate ere geologiche dai tempi dei moti di Reggio. La “questione capoluogo” è stata sepolta. Resta la memoria di un periodo storico indelebile, che ha segnato una generazione ed il percorso sociale di una terra, ma che non ha (più) riflessi sportivi. Torna il derby al Granillo ma, complici la distensione nei rapporti tra le due tifoserie (dal settore ospiti arriva anche un coro “Reggio-Reggio”) e soprattutto la situazione di classifica delle due squadre, Reggina-Catanzaro è una partita come le altre. O quasi.
Potrebbe essere, infatti, la gara che sancisce la retrocessione aritmetica della Reggina o quella che mantiene viva la speranza fino agli ultimi 90′. Potrebbe essere l’ultima partita interna della presidenza Foti. Potrebbe essere, non bisogna dimenticarlo, anche l’ultima partita a Reggio Calabria della Reggina. Almeno con questo nome, qualora le desolanti casse societarie determinassero l’impossibilità nella prosecuzione aziendale-sportiva. Perchè dal condizionale si passi all’indicativo, oltre al risultato del derby, incideranno il responso del Tribunale circa l’istanza di fallimento avanzata da Unicredit e l’esito della trattativa in essere con gli australiani per la cessione del club. Attesa, o agonia a secondo dei punti di vista, non saranno lunghi: ogni responso è previsto a stretto giro di posta.
Tedesco debutta tra le mura amiche da tecnico amaranto e ripropone il 4-4-2 che aveva contraddistinto il suo esordio a Foggia. Torna Belardi tra i pali, c’è Velardi al posto di Mazzone ma agisce da ala sinistra con Salandria in mediana insieme a Zibert. Proprio lo sloveno avrebbe il pallone buono per il vantaggio al 2′ ma spara su Orchi da posizione più che favorevole. Avvio col botto ma è un fuoco effimero. La squadra dello Stretto amministra in modo sterile uno 0-0 vuoto di ogni significato, incapace com’è di far male all’avversario. Si scalda Di Michele già alla mezzora, segno inequivocabile dell’assenza di produzione offensiva in grado di piegare la resistenza di un Catanzaro ordinato e nulla più. Quando la gara sembra condursi senza sussulti all’intervallo arriva un errore di Migani che permette a Viola di depositare in rete il pallone che sblocca l’incontro.
Gara in discesa? Non scherziamo. La Reggina rianima le aquile – che fino ad allora non avevano mai azzardato il volo nella metà campo amaranto – con un marchiano errore. Ungaro si lascia sorprendere da Russotto, Razziti insacca a porta sguarnita. A meno di 30′ dalla fine la Reggina è matematicamente in D, almeno fino a quando Insigne non affonda sulla destra e regala a Di Michele (subentrato ad un impalpabile Velardi) la chance per un inusuale colpo di testa in tuffo che vale il nuovo sorpasso.
Dopo il guizzo dell’ex capitano – oggi la fascia era stretta al braccio di Aronica – arriva il diagonale di Maimone, che aveva appena rilevato il sempre positivo Salandria, e fissa il risultato sul 3-1. La firma, così, la mette anche Giacomo Tedesco che vince la sua prima gara da tecnico professionista con i gol di due uomini da lui lanciati dalla panchina. Dettagli, la sostanza è che la Reggina sale a -1 dal Savoia, umiliato dalla Casertana (4-1).
Chi mette nei guai Viola e compagni è la Salernitana che si lascia “suonare” dall’altra squadra dello Stretto: il Messina, in casa del Savoia nell’ultima giornata, andrà privo di obiettivi. Un successo dei campani condannerebbe la Reggina indipendentemente dal risultato della squadra di Tedesco a Martina. A mantenere viva la speranza solo lo stato comatoso nel quale versano gli oplontini.
“Boia chi molla”, era il motto durante i moti di Reggio. Lo abbiamo utilizzato nel titolo senza – ovviamente – alcuna sfumatura politica. E’ il senso di quelle parole che adesso conta e dev’essere un monito in vista dell’ultimo turno. La Reggina avrà il dovere di far risultato pieno a Martina per rispetto della maglia, della voce, del dolore di chi ama questa squadra. Per non aggiungere ulteriori rimpianti, perchè la misura anche in quel senso è già colma.
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