La vita è contrassegnata insistentemente dall’alternarsi ritmico, più o meno sparso, di seriosità e vacuità. Al calcio, per il suo essere così popolare e coinvolgente, negli anni è stato ritagliato uno spazio che si incastrava perfettamente in mezzo, con una tendenza al profano nella misura in cui si alludeva alla sua accezione sportiva, e con una tendenza al sacro se invece si analizzava la sua proiezione sociale. Perché il calcio come sport ha spesso ceduto il posto a una vocazione più alta, che ha inteso il correre dietro a un pallone come una sorta di riscatto collettivo.
Reggio e la Reggina sono l’esempio più lampante. Un legame centenario che ha conosciuto gli anni d’oro della squadra durante gli anni d’oro della città. Ed ora, in un momento di difficoltà sociale, in un contesto squarciato dal fragore delle bombe e dal buio che cala quando si guarda al futuro, la squadra cerca di resistere, ora imponendosi per sacrificio e impegno, ora arrabbattandosi, come successo ieri contro il Crotone.
E mai come nel momento delle sconfitte, la Reggina diventa riflesso dei reggini. Si può cadere (una, due, tre, cento volte) ma la fiamma dell’orgoglio e dello spirito non si spegne mai. La partita di ieri contro il Crotone ha lasciato in eredità agli amaranto echi di incertezze che, senza andare lontano, si sono viste contro il Varese e nell’intero girone di andata, con una squadra che costruiva palle gol a catena industriale affogando poi nei propri errori. Ma lo spirito, quello, non è venuto meno. La squadra si è ripresa ad inizio 2014, e ha riscattato la sconfitta contro il Varese già a Carpi.
Spogliarsi della verve da guerra santa messa in mostra in questi mesi, proprio ora che un passo avanti era stato fatto, sarebbe inconcepibile. Gagliardi lo sa, probabilmente lo sanno anche i suoi ragazzi. In settimana al tecnico toccherà un nuovo lavaggio del cervello che rigeneri psicologicamente i suoi.
La rincorsa alla salvezza si fa complicatissima, ma sempre meglio qualcosa di difficile che qualcosa di impossibile. Nessuno avrebbe scommesso un euro su Gagliardi, su Zanin, su Foti, su Giacchetta, su Di Michele, su chiunque, a gennaio. Ora, pure a perderli, quattro spiccioli val la pena di giocarseli, sugli amaranto. Che hanno dimostrato attaccamento, anche se quest’ultimo, settimanalmente, fa a pugni con vuoti tecnici impossibili da nascondere.
La falla nello scafo è evidente, i punti che dividono la Reggina dall’impresa lo sono ancora di più. Ma questo senso di umiltà ritrovata, le lacrime nello spogliatoio, un voler perdere o vincere tutti insieme, non si vedevano da mesi, da anni.
Reggio è dei reggini. Il riscatto sociale passa dai prossimi tredici impegni.
Tra vincere e perdere c’è un confine abissale, ma la linea si oltrepassa facilmente. La Reggina, come l’intera città, è nel baratro. Pensare di poter guardare con distacco al corso degli eventi è masochismo puro. A ogni singolo cittadino il compito di allungare la mano nel fosso. Afferrare la Reggina per riprendersi la speranza collettiva. Il calcio è anche questo. Sempre che si abbia la maturità giusta per ammetterlo.
Francesco Mansueto – Reggionelpallone.it
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