E’ proprio per questo che, anche se la legge non lo ammette chiaramente, si è arrivati attraverso una elaborazione giurisprudenziale all’applicazione del daspo ,ed anche dell’obbligo di firma, per i soggetti tesserati da federazioni sportive, provvedimento che prescinde da ogni altro di competenza degli organi di disciplina sportiva, arbitri o giudici sportivi.
Lo snodo cruciale in questo senso si è avuto con la sentenza della Cassazione penale del 05/09/2007
n°33864 che afferma questo principio di diritto:
“Anche i giocatori e i dirigenti che – al pari degli “ultras” – si rendono responsabili di risse o litigi in campo e/o nei luoghi attigui, tali da provocare turbative per l’ordine pubblico, possono essere legittimamente sottoposti al divieto di accedere agli impianti sportivi in occasione delle competizioni (cd. “DASPO”) emesso dal Questore ai sensi della legge 401/1989.”
Questa sentenza respinge un ricorso che un dirigente e un atleta, ai quali era stato comminato il daspo poiché coinvolti in una rissa, avevano proposto sostenendo che, in quanto tesserati, i loro comportamenti soggiacevano a quanto previsto dalla giustizia sportiva e che perciò il loro coinvolgimento in una rissa nella fattispecie sarebbe potuto essere punito con sanzioni quali squalifiche, inibizioni o quant’altro fosse applicabile dai competenti organi della giustizia sportiva.
Questa tesi però non poteva essere in alcun modo accolta in quanto, al più, fa riferimento a quei comportamenti “violenti”che avvengono in campo quale effetto collaterale della condotta agonistica, non di certo una rissa iniziata al fischio arbitrale e magari proseguita negli spogliatoi
Sostiene la suprema corte giustamente: una condotta non rispettosa delle regole del gioco ma comunque inserita nel contesto di un’attività sportiva ed intimamente connessa alla pratica dello sport ( e che può portare ad esempio ad una espulsione dal campo o all’inibizione di un dirigente ndr) è ben diversa da quella tenuta in ipotesi in cui la gara agonistica sia solo il pretesto o l’occasione dell’azione violenta.
Pertanto alla luce di queste considerazioni il provvedimento preso dal questore anche nei confronti dei tesserati è legittimo perché mira a tutelare l’ordine pubblico compromesso dai comportamenti di questi soggetti e trascende dal contesto sportivo che risulta essere la “mera occasione” del comportamento illecito.
Oltre che strumento di repressione il daspo ha anche delle possibilità quale strumento di prevenzione della violenza. Non è un caso che il ministro dell’Interno Maroni proprio in una intervista ad un mensile della Lega Dilettanti ne ha paventato l’utilizzo nei campionati giovanili… ma nei confronti dei “geniroti facinorosi”. Queste le sue parole: “Se potessi, introdurrei il Daspo educativo per tenere fuori dai campi i genitori invasati che giocano contro la crescita dei figli e dei loro compagni. Trasformano la passione in pressione. Condizionano in misura irrimediabile l’intero gruppo, anche quei ragazzi che hanno genitori capaci di fare i genitori di uno sportivo. La questione è essenzialmente culturale e penso che tutti dobbiamo fare qualcosa per far crescere il tasso di cultura sportiva. Che poi è anche educazione civica”. Un provvedimento questo che, se introdotto, potrebbe sicuramente avere degli effetti positivi eliminando la violenza nella fase più importante della crescita non solo del calciatore ma dell’uomo.
Ivana Veneziano
Commenti