Uno dei momenti più significativi della sua carriera rimane il duello con Marco Pantani sul Galibier durante il Tour de France 1998: oggi parla di quegli anni.
Il 27 luglio 1998 resterà una data inscalfibile nel cuore degli sportivi italiani e non solo, ma soprattutto tra gli appassionati di ciclismo: quel giorno, infatti, Marco Pantani scattò sulla penultima salita di tappa al Tour de France, quella del Galibier, compiendo una di quelle imprese che oggi possiamo tranquillamente definire di altri tempi.

Terzo in classifica, prima della 15esima tappa da Grenoble a Deux Alpes, aveva tre minuti e un secondo di ritardo: la maglia gialla era detenuta dal tedesco Ian Ulrich, che già aveva vinto l’edizione precedente della prestigiosa corsa a tappe francese. Pantani diede solo sulla salita del Galibier quasi tre minuti al rivale tedesco, agganciando poi i fuggitivi di giornata nell’ultima ascesa.
L’impresa di Marco Pantani che rifilò 9 minuti a Ian Ulrich
Alla fine, solo in quella tappa, Ian Ulrich prese qualcosa come nove minuti in appena 50 chilometri da Marco Pantani, riuscendo poi nelle tappe finali a dimezzare lo svantaggio e arrivando secondo nella classifica generale, dietro al Pirata, con un distacco di tre minuti e 21 secondi. Nei giorni scorsi, il tedesco ha parlato di quella sfida al Tour 1998 al quotidiano La Repubblica.

Per il pubblico italiano, quella giornata sotto la pioggia è ancora oggi un ricordo indimenticabile. Ma anche per Ullrich, sorprendentemente, fu una delle esperienze più intense e formative: pur perdendo, si sentì cresciuto, non solo come atleta ma come uomo. Quella sconfitta, racconta, lo rese più forte e consapevole dei propri limiti e delle proprie risorse interiori.
Le rivelazioni di Ian Ulrich sul doping nel ciclismo
Terminata una carriera comunque straordinaria, fatta di un Tour, una Vuelta, un oro olimpico e tre mondiali su strada, uno da dilettanti e due nella prova a cronometro, Ian Ulrich ha vissuto momenti davvero difficili, è infatti precipitato in un abisso personale, segnato da alcol e droghe. Un periodo buio, di autodistruzione, che ha compromesso la sua vita privata e familiare.

A questo ha contribuito la squalifica per doping arrivata dopo il suo ritiro: nel 2013, ammise l’uso di sostanze dopanti nel corso della carriera e quelle stesse ammissioni le ha fatte anche al quotidiano La Repubblica. Ullrich ammette senza mezzi termini che ai suoi tempi il doping era una realtà onnipresente, una sorta di “ambiente naturale” in cui ogni ciclista era costretto a muoversi.
Usa una metafora forte per descrivere quel contesto: competere senza doparsi era come “andare a una sparatoria armati solo di un coltello”. Forte, come troppo forte era la pressione che arrivava da più parti in quegli anni, dagli sponsor, dai tifosi e dalle stesse squadre. La risalita di Ulrich è stata possibile anche grazie al rivale Lance Armstrong, anche egli al centro delle indagini e degli scandali sul doping nel ciclismo.