Brutta e spenta. La Reggina scesa in campo al “Manlio Scopigno” aveva ben poco di quella che solo sette giorni prima aveva letteralmente annichilito il Catania di Novellino. C’erano gli uomini, confermati per dieci undicesimi. C’era mister Drago ed il suo 4-3-2-1. Niente di più. L’involuzione è certificata senza dubbio dal risultato, ma, dando uno sguardo alla prestazione, l’ottimismo che aveva pervaso l’ambiente amaranto nel corso della settimana lascia spazio a considerazioni più pessimistiche.
Non è concepibile passare un incontro all’angolo del ring, subendo la maggiore voglia ed aggressività degli avversari, incassando, in silenzio, qualsiasi genere di colpo ed accennando alla reazione quando il risultato era oramai compromesso. Nel giro di un mese le prospettive amaranto sono state stravolte dall’uragano “Gallo”. La Reggina, oggi, è una società solida ed il valore della rosa è quintuplicato. Sul campo, però, si è assistiti all’effetto contrario. E se da Catania a Rieti materialmente è cambiato poco, il problema va ricercato nell’atteggiamento.
Il nome, il blasone e la storia amaranto non hanno praticamente eguali in Serie C (tranne qualche raro caso). Le motivazioni per gli avversari raddoppiano, proprio adesso che il presidente ha restituito a quei colori le giuste “tonalità ”. Bisogna allora scendere sul rettangolo verde e “comandare” la partita. Tecnicamente, atleticamente e soprattutto mentalmente. I primi minuti contro il Catania sono stati decisivi. L’approccio giusto intimorisce. L’avversario arretra. E’ alle corde. Ed è lì che puoi fare il tuo gioco.
Basta prestazioni come quella di Rieti. O Pagani. O Brindisi. Non lo merita questo presidente. Non lo meritano i 300 tifosi di domenica al Manlio Scopigno.
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