Dopo otto anni, ancora, mia moglie non riesce a spiegarsi – e a tratti non accettare – questo mio viscerale legame verso un colore: l’amaranto.
D’accordo potrebbe essere pura gelosia, ma se è vero “che non c’è donna che possa competere”, è anche vero che verso un baluardo, una storia, un vessillo non vi è contesa.
Ma la capisco, sia chiaro!
Ancora oggi, quando incredula mi domanda il perché di questa lucida follia, di weekend allo stadio o davanti ai monitor, di sbalzi umorali e di imprecazioni, di adrenalinici novanta minuti, il mio è un silenzio codardo misto a riservatezza. Mi è complicato ai suoi occhi, descrivere una passione che ti toglie il fiato, ti offusca la mente e ti “comanda”.
Come quella domenica del 1986, cinque anni, ricordi sbiaditi, ma un’emozione viva: vecchie tribune lamierate, una bolgia di musica, bandiere e cori, la fila verso un “buco misterioso” da dove spuntò una mano ed un biglietto verso l’infinito. Ringrazierò sempre mio padre per quella volta.
Mi bastò un attimo per capire.
Per canticchiare “amaranto siamo noi” anche dinanzi ai rimproveri della maestra delle elementari, bontà sua. Un sentimento ancora immaturo ma che nel tempo si coltivò autonomamente, senza nemmeno bisogno di essere abbeverato.
Che anni quegli anni, che tempi quei tempi. Quelli dei miti non vissuti Maestrelli e Pianca, quelli che si esultava ad un gol di Mollica allo scadere o alle punizioni dipinte di Mino Bizzarri. Quelli che ti fanno ricordare “Rassu” e Passiatore, quelli che alla sconfitta con lo Stabia “non vonnu ‘nchianare”, ma che l’anno dopo con Aglietti volavano in diretta telepiù. Quelli che Pasino da centrocampo…
I tempi in cui “Rosin – Bagnato- Attrice..” era pura poesia ma anche “Merlo – Vincioni – Poli” non “cugghiunia”. Schieramenti più conosciuti di ogni prosa Leopardiana o Manzoniana dal reggino medio.
Ne sono certo.
Quei momenti in cui dal televideo dipendeva la tua serata e la tua settimana, e la voce audio dello stadio era capace di farti scoppiare di gioia o ammutolire l’euforia.
Certo i più recenti li ho vissuti con maggiore ardore, nel pieno dell’adolescenza, biondo ossigenato, “scappai” alla volta di Reggio Emilia in un sabato di Festa, incurante del comitato di benvenuto che mi avrebbe riservato al ritorno la famiglia: nulla, però, avrebbe rallentato la mia corsa verso la balaustra al gol di Artico.
E poi ancora l’invasione di Torino, “QDR” e le trasferte dalla Capitale, l’incubo Cossato, l’altalenante valzer di emozioni, il lento declino, il fallimento e la rinascita.
Non basterebbero dieci pagine di Rnp per raccontare…la Reggina.
Ne è passata di acqua sotto i ponti ragazzi. 104 anni di amaranto, che per noi, come per i greci non “appassisce mai”.
“È difficile spiegare, certe giornate amare, lascia stare Tanto ci potrai trovare qui” canta Fiorella Mannoia.
E noi come lei, “con le nostre notti bianche , ti diremo ancora un altro si”..
Un sentimento che mischia le lacrime di gioia e di disperazione, che ci lega immotivatamente ad una storia, ad un baluardo, ad una esaltante rappresentazione della città in cui sei nato. Che è la nostra città.
Che anni ragazzi, questi anni.
Centoquattro per la Reggina che, come scrisse “qualche saggio”, ci fa ancora godere!(ma non ditelo a mia moglie).
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