Se la qualità latita la mediocrità primeggia. Vi è un momento in cui tutto si ferma o, almeno, dovrebbe fermarsi. Per far riflettere, per analizzare. Per uscire da quel guscio intellettivo che troppo spesso ti sostiene fino all’errore. Succede nella governance a tutti i livelli: dalla politica all’imprenditoria, dallo sport all’associazionismo. Sta succedendo adesso a Reggio, nel momento in cui il calcio sembra lo specchio fedele di una città inginocchiata. Socialmente depressa, difficilmente recuperabile. Inerte alla reazione, dal dna tremendamente predisposto alla sterile lamentale.
Quando il mix degli ingredienti è così tossico, nulla più della mediocrità può offuscarne i ragionamenti e prendersi la scena. La “Mediocrazia” così come nel suo omonimo libro l’ha definita il filosofo Alain Deneault, si è impadronita anche della Reggio calcistica.
La Mediocrazia di calciatori insensibili al valore della maglia che indossano, alcuni per deficit genetici di qualità, altri per mancanza di adeguato “carattere” – ergo “palle – che nei momenti del bisogno può più (ma molto di più) dei piedi buoni. Se alla troppa gioventù (attenzione, non confondiamola con l’inesperienza, perché gran parte dell’undici attuale ha almeno 3 campionati di C sul gropppone) non sopperisci con rabbia e grinta, fai perdere le tue tracce. E la Reggina di questi due mesi ha fatto perdere le proprie tracce. Fino a scomparire. Gente con la testa già a potenziali carriere che, se questa è l’alba, non troverà certamente il tramonto. O lo troverà prestissimo. Gente di cui la Reggina potrebbe anche fare volentieri a meno, prima di subito.
La Mediocrazia di un tecnico volenteroso e magari anche preparato, ma che ultimamente dal punto di vista delle scelte sembra essersi perso per strada anche lui. Un allenatore che vuole essere seguito come un mantra ma che, in alcuni dei calciatori, trova un muro di “petti inutilmente gonfiati”. Ma non dovrebbe essere il tecnico a trasmettere grinta e senso d’appartenenza ai calciatori? Se la risposta è si (e lo è…), allora anche lui deve prendersi responsabilità precise, nette, indiscutibili.
La Mediocrazia di una società – a cui nulla si potrà addossare in termini di passione e sacrifici – che fatica a superare il “gap” tra dilettantismo e professionismo. Non in termini economici, almeno non solo, ma in quelli organizzativi sicuramente. Una società che in tre anni non è mai riuscita a dare continuità ad un progetto, rifugiandosi in frettolose rivoluzioni. Così facendo si corre il rischio, estremo, di mettere i soldi e comandare meno di un tesserato o di un qualsivoglia consulente. Per uscire dalla mediocrità a questa società serve una seria organizzazione: fatta prima di idee e poi di uomini, possibilmente giusti al posto giusto.
Ma la Mediocrazia, per tornare al ragionamento di cui sopra, non risparmia certo chi a Reggio trova sempre un motivo buono per non fare nulla. Nascondendosi nell’ambiente sano, o se preferite esasperato da dieci anni di bocconi amari e sofferenze che ne hanno scalfito forse anche la passione. Stiamo parlando di coloro i quali la Reggina l’hanno abbandonata a prescindere. Di coloro i quali prima “non vengo al campo fin quando c’è Foti” e adesso “non vengo al campo perché quella di Praticò non è la Reggina che mi rappresenta”. Occhio a scaricare facilmente le responsabilità, a non mettersi mai in discussione. Il sussulto d’orgoglio, che possa spingerci a chiedere rispetto e restituzione della dignità, dovrebbe essere collettivo e non dovrebbe prescindere alla partecipazione. Altrimenti tutti, nessuno escluso, verremo inghiottiti dalla mediocrità.
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