Soffro maledettamente nel vedere i miei beniamini in balia dell’avversario, gioisco quando il mio capitano alza le braccia al cielo dopo il triplice fischio. Io sto sempre lì, accanto alla mia squadra, con il capo chino o con il volto colmo di orgoglio: è il mio essere tifoso che lo impone. Sviluppo un innaturale senso di appartenenza, la storia del club che supporto diventa conseguentemente la mia storia. Perché? Perché conquistare un trofeo, piegare la resistenza degli acerrimi rivali segnerà inevitabilmente la mia vita da tifoso. E non importa se anni ed anni di vittorie verranno spazzati via da campionati “sanguinanti”: per me si tratta solo di un periodo di transizione, o perlomeno lo spero.
Il 30 maggio del 2015 è una data che entra di diritto negli annali amaranto: la Reggina dopo ventisei anni torna a vincere in quel di Messina, spedendo i peloritani nell’inferno dei dilettanti, nello spareggio salvezza. Qualcuno dice che non conta la meta, ma il viaggio che ci permette di raggiungerla. Ed il cammino che ha portato Armellino e compagni a giocarsi i play-out contro i cugini “messinesi” è stato tanto lungo quanto tortuoso. La stagione del club che allora aveva la propria sede in via delle Industrie si è giocata su due fronti: uno sportivo, che di gioie ne ha conosciute davvero poche, e l’altro giudiziario, dove si è disputata la partita più importante. Sul campo, la prima “stazione” del calvario amaranto è stata senza alcun dubbio a Lamezia Terme: il poker servito dai biancoverdi si è rivelato una mazzata sotto il piano psicologico dalla quale la Reggina non è riuscita più a riprendersi.
E’ importante, però, ricordare anche le due, laceranti, sconfitte nei derby con i cugini d’oltreStretto. Saranno quelle a muovere inevitabilmente il senso di rivalsa di calciatori e società. Il ritorno alla base di coloro i quali la storia, con la maglia della Reggina, l’hanno scritta ha rappresentato una delle poche scelte azzeccate in una stagione che era iniziata male e sembrava dover finire anche peggio. Così tra una sconfitta e l’altra, si viveva l’effimera gioia di qualche vittoria che teneva acceso quel lumicino di speranza. L’ingresso in corsa di Tedesco sulla panchina sembrava poter spostare gli equilibri, ma il 9 maggio il campo, giudice inappellabile, emetteva il suo verdetto: nonostante la vittoria di Martina Franca, la Reggina conosceva la seconda retrocessione in due anni. La contemporanea sconfitta del Messina a Savoia aveva infatti permesso alla formazione campana di staccare il pass per gli spareggi di categoria a discapito degli amaranto. E’ festa sull’altra sponda dello Stretto, ma qualcuno ha forse dimenticato che nelle aule del Collegio del Coni si giocava un’altra, fondamentale, partita. Ad undici giorni esatti dalla “virtuale” retrocessione, ecco la sentenza: in Serie D ci va il Savoia, ai play-out sarà derby Reggina-Messina.
Davanti ad una splendida cornice di pubblico ed un tifo degno della massima serie, il 26 maggio i ragazzi di Tedesco si impongono tra le mura amiche per una rete a zero nella gara d’andata. Al ritorno, però, ci attende una battaglia. Vivo il pre-partita in maniera piuttosto inusuale: la tensione mi logora, i battiti cardiaci aumentano a dismisura. Accendo il pc, manca mezz’ora al fischio d’inizio. Penso alla mia Reggina: nobile decaduta del calcio moderno. Dopo nove stagioni di Serie A, un rapido declino verso un fondo che diventava ogni giorno più profondo. Le squadre fanno il loro ingresso in campo, dai volti dei calciatori amaranto traspare una disarmante serenità. Non mi do pace, spero che questa agonia abbia a breve una fine.
Nella prima frazione di gioco teniamo piuttosto bene il campo, contendendo le sortite offensive dei nostri avversari. La ripresa però si apre con l’espulsione di Benedetti. Un’autentica doccia fredda, in ragione del fatto che al Messina basterà la vittoria con un goal di scarto. E la superiorità numerica fa pendere l’ago della bilancia in favore dei giallorossi. Ci stanno schiacciando, c’è bisogno di dare profondità a questa squadra. Mister Tedesco lancia in campo così Pietro Balistreri, giunto in riva allo Stretto nel mercato di riparazione. Zero gol all’attivo ed un profilo che sino a quel giorno non ha convinto del tutto. Corre il minuto ottantacinque quando Zibert è pronto a calciare un piazzato defilato sulla destra a circa 25 metri dalla porta avversaria. La palla viene scaraventata in area, dove proprio Balistreri, l’uomo della “provvidenza“, trova l’incornata che fa esplodere di gioia gli ottocento tifosi accorsi a Messina.
Cala il sipario al “San Filippo”, la Reggina condanna ancora una volta i propri rivali alla retrocessione. Un urlo liberatorio nel silenzio quasi surreale della mia casa. Reggio, nelle ore successive alla partita, è invasa da un fiume di colore amaranto. E’ il riscatto di un popolo che non ha smesso nemmeno per un istante di navigare verso un unico, comune, obiettivo, mosso da un amore incondizionato verso una maglia che è stata, è e sarà quella che porterò cucita addosso per tutta la mia vita, come una seconda pelle.
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