Di Gianpiero Versace – Un altro nome e magari un altro stadio? Il calcio reggino sbanda e del futuro non c’è certezza.
“Ridateci la nostra storia”, cantano senza sosta gli unici vincitori di una stagione da dimenticare. Su e giù per il Meridione, i tifosi amaranto, su campi che – con tutto il rispetto per le avversarie – appena qualche anno fa sarebbero apparsi inadatti per giocarci perfino un’amichevole ed oggi sono teatro dell’ormai consueto spettacolo sugli spalti durante le gare ufficiali della squadra che rappresenta Reggio Calabria. Una città che oggi può dirsi degnamente rappresentata, invece, soltanto e proprio da loro, da quegli stessi tifosi che legittimamente ambiscono ad un ritorno alla normalità e invece ieri sera hanno visto disgregarsi l’ennesima certezza.
“Molti ignorano i costi necessari per l’attività societaria. Nessuno ci obbliga a giocare al Granillo anche nel prossimo futuro. Faremo meno abbonati? Chi vuole venire, viene. Non sto scherzando e non è una provocazione, potremmo anche decidere di giocare a Ravagnese o a Bocale“. Così il presidente Praticò, ospite di ReggioTV.
A tutto c’è un limite. E non ci riferiamo all’ambito strettamente calcistico, lo sport conosce vittorie e sconfitte. Certo, le figuracce della SSD Reggio Calabria cominciano ad esser troppe, ed è il caso di porre freno e rimedio anche in questo settore. C’è stata Roccella con il punteggio all’intervallo che segnava 3-0 per gli amaranto, ma per quelli jonici. C’è stata la Leonfortese, che potrà raccontare di aver schiaffeggiato in casa ed in trasferta la squadra dello Stretto. C’è stato lo Scordia che ha goduto al Granillo, convinto di aver compiuto un’impresa difficile da replicare e invece immediatamente bissata da un incredulo Agropoli. Ci sono 17 punti di distacco dalla vetta e 14 dal terzo posto nonostante Siracusa e Frattese abbiano giocato rispettivamente una e due partite in meno del Reggio. C’è stato un campionato – di Serie D – sostanzialmente finito il 31 gennaio quando la Cavese ha passeggiato al Granillo chiarendo oltre ogni ragionevole dubbio quanto la SSD Reggio fosse inadatta ad ambire al vertice.
Eppure non è questo il limite che diventa delittuoso scavalcare. Di alibi per ciò che di imbarazzante sta raccontando il campo ne esistono parecchi, li abbiamo lungamente narrati ed evidenziati. Sono diritto di una società che ha compiuto sforzi inenarrabili ed oggettivamente meritori per dare continuità al calcio cittadino, restano sacrosanti e nel nostro giudizio vanno riconosciuti. Almeno per questa stagione, nata maldestramente per responsabilità che è doveroso ricercare altrove.
Il limite è quella storia che la tifoseria chiede e cui l’intera comunità amaranto inevitabilmente tende.
Cos’è, la storia? Al di là di discorsi più o meno demagogici, o populisti, o retorici, la storia – per una squadra di calcio – riteniamo sia quell’insieme di cose tangibili ed intangibili che sono di proprietà degli appassionati e che permettono loro di identificarsi inequivocabilmente con la loro squadra del cuore.
In senso assoluto potrebbero esser riassunti in cinque punti. Il nome, appunto, naturalmente prima di ogni altra cosa, insieme alla maglia. Lo stadio, il logo, il blasone.
Analizziamo ogni aspetto, partendo da quelli “positivi”. Il logo riteniamo sia un aspetto sul quale è possibile soprassedere:  la Reggina, infatti, ne ha avuti di diversi nel corso del suo percorso secolare, dallo storico pallone vintage alla “R” stilizzata, tutti entrati nella memoria collettiva ma nessuno probabilmente con criterio di univocità tale da poter esser definito un caposaldo assoluto. L’attuale logo del Reggio, peraltro, richiama quello dell’AS Reggina ed è dunque già rivolto alla fiera identità . Il blasone, poi, inteso come riassunto di quelle pagine d’emozioni sportive positive e negative scritte negli anni – almeno e sempre secondo il nostro giudizio – nessun tribunale potrà mai sottrarlo, possederlo o assegnarlo, essendo già (e per sempre) proprietà di tutti gli appassionati che hanno legato il loro nome agli amaranto.
Restano, dunque, i tre aspetti principali: nome, maglia, stadio. Fino a ieri, Deo gratias, almeno due di questi erano saldamente in possesso e soltanto uno, il nome, rientrava nella “storia” che la tifoseria pretende di riconquistare e che – peraltro – nessuno come la stessa SSD Reggio ambisce a ritrovare. Da ieri, tuttavia, nel momento in cui viene affermato che, “nessuno ci obbliga a giocare al Granillo e valutiamo Bocale”, si aprono inevitabilmente nuovi, inquietanti scenari.
Seppure il presidente Praticò abbia specificato il contrario, assicurando che non fosse una provocazione, vogliamo ostinatamente credere sia così. E vogliamo credere che la stella polare del massimo dirigente amaranto e dei dirigenti tutti sia ben diversa, anzi opposta. Perché sostenere il concetto espresso nel corso della trasmissione ben condotta dai colleghi Ripepi e Lamberti vorrebbe dire non fare un passo verso la storia, ma compiere una giravolta, voltarle le spalle e correre in senso contrario.
La invitiamo, presidente Praticò, a tornare sulle sue parole e correggere il tiro di dichiarazioni che nel corso di una diretta televisiva possono non esser state pesate a dovere. Succede. Qualora il senso del suo pensiero, come crediamo e speriamo, dovesse esser diverso da quello esposto negli studi di ReggioTV la invitiamo a rassicurare pubblicamente un ambiente che mai come adesso ha bisogno di certezze e non di vedere sgretolare perfino quelle poche, ultime, traballanti rimaste.
E’ vero, nessuno impedisce di portare la squadra a giocare chissà dove. Ma sarebbe altrettanto legittimo chiedersi, in tal caso, che natura abbia e quale sia esattamente la squadra che lei presiede.
La Reggina? Presidente, in piena coscienza, si immagina gli sportivi reggini, la domenica, dover andare a seguire il Reggio Calabria al Campoli di Bocale, ad esempio? “Chi vuole, viene”, ha detto. Ma smarrito (temporaneamente, si spera) il nome, perso lo stadio, ci sarebbe da augurarsi che, nel caso, si vesta almeno l’amaranto.
Oppure no…
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