Saranno mesi “di passione” in riva allo Stretto. Mesi in cui interrogativi importanti troveranno una risposta. Presente, futuro, identità, tradizione. Concetti imprescindibili che fanno la differenza, capisaldi di qualsivoglia piazza animata da una cultura calcistica e popolare che si rispetti. Ed è vero che nei momenti complessi, quelli in cui scruti l’orizzonte nella speranza di trovare solidità e certezze, spesso ti affidi ai sentimenti. Il nome Reggina. Ormai ne discutiamo da mesi, tra l’ansia di non essere compresi appieno e l’onesta d’animo di chi può scrivere e parlare a testa alta. Perchè quelle sette lettere, se davvero stiamo parlando di tradizione e passione, non rappresentanò nè un capriccio nè una questione di lana caprina. Quelle sette lettere, fanno tutta la differenza del mondo.
Ma cosè, in fondo, la REGGINA? Cosa rappresenta nel concreto? Cosa smuove l’anima di un tifoso amaranto? Ce lo spiegano un padre ed un figlio. Ce lo dice un collega, un amico con cui condividiamo non solo un percorso professionale, ma anche e soprattutto un amore verso quel simbolo che va ben oltre il semplice concetto di gioco più bello del mondo qualsivoglia sport. Ce lo racconta Alfredo Auspici, in un pezzo datato, ma sempre attuale. Un segno che non passa mai, come le canzoni o le poesie più celebri.
Al titolo, “Aeroplani di carta”, avremmo voluto aggiungere “Ecco cos’è la Reggina”. Sarebbe stata un’aggiunta efficace per esprimere il nostro pensiero, ma al contempo sarebbe stato da perfetti sacrileghi, cambiare il titolo di ciò che ha scritto il nostro amico Alfredo. Sarebbe stato come sporcare un capolavoro, e non ce lo saremmo mai perdonati…
AEROPLANI DI CARTA
“Oggi vieni con me allo stadio”! Non stavo più nella pelle. Finalmente. Quel giorno da me tanto atteso era arrivato. “Si Papà” dissi emozionatissimo “ma la bandiera?” “Eccola, ne ho comprata una per te”. Ridevo con gli occhi, col cuore, con tutto quello che avevo dentro, mangiammo tutto in fretta e via…
Il colpo d’occhio all’entrata era fantastico, tante tantissime erano le bandierine, tutte uguali, tutte come la mia, ero finalmente lì. Per la prima volta la Reggina di mio padre, dei miei zii, dei miei cugini più grandi di me, la Reggina dei “grandi” insomma, era anche cosa mia, mi sentivo grande anch’io; si, grande, proprio come era grande quell’uomo coi baffi e stempiato che con tenerezza mi teneva per mano.
“Sediamoci lassù” disse mio padre e andammo. Sotto di noi un signore con la tromba suonava un motivetto. “Cosa sta suonando quello?” chiesi “suona la carica, quando i nostri calciatori sentono quella musica giocano meglio” Che magia! Quante cose dovevo ancora imparare, ma la cosa non mi preoccupava più di tanto, accanto a me c’era mio padre. Tantissima era la gente intorno a noi in quel caldo pomeriggio di maggio, chi stava sbracciato, chi a petto nudo, mentre su di noi un signore in pochi secondi costruiva dei cappellini di carta con fogli di giornale, cappellini che poi distribuiva agli amici in modo che questi si potessero riparare dai raggi del sole. “Hai caldo?” disse mio padre “un pochino, fammi un cappellino” risposi “Ci tento”. Passò un minuto e … niente, 5 minuti e … niente, 10 minuti e … niente, alla fine mi disse: “ io i cappellini non li so fare, al massimo posso farti un aeroplano”.
Il signore su, intanto, che si era gustato la scena, mettendomi in testa il suo mi disse ripetendo: “Tieni, se aspetti tuo padre si fa notte”, anche mio padre, divertito, sorrise ringraziandolo, io invece ci rimasi un po male, ma non lo diedi a vedere e rivolgendomi a mio padre dissi : ”però adesso fammi l’aeroplano”, “ma certo, ti faccio l’aeroplano più bello del mondo e se vinciamo alla fine lo facciamo volare”.
La partita ebbe inizio, io guardavo si dentro il campo, ma mi affascinava soprattutto quello che io avevo intorno, ero io il protagonista non i giocatori, guardavo le smorfie e i sorrisi di mio padre, le imprecazioni e gli incitamenti della gente, il signore con la tromba, quello delle noccioline, quello che buttava il sale, quello che gridava contro quel signore con la bandierina o col fischietto. Tutto era magico lì e lo manifestai subito a mio padre: “mi sto divertendo un sacco, papà” lui sorridendo rispose:” si, lo vedo, ma vieni più vicino che se segnamo possono farti male” non passò neanche un minuto che… GOOOOLLLLL… mi prese in braccio e mi strinse fortissimo gridandomi: “Hai visto? Ce l’abbiamo fatta, non aver paura, gridano perché sono felici, ha segnato la Reggina”, “non ho paura papà, sono grande io”, lui sorrise e mi fece sedere nuovamente al mio posto.
Dal gol in poi fu proprio una festa: cori, canzoni ed allegria fino al triplice fischio, cioè fino a quando tutti salutarono la vittoria con il lancio dei cappellini di carta. “E tu non lo lanci il cappellino?”, “no papà, io lancio il nostro aeroplano”. Uno… due… via… e mentre tutti i cappellini cadevano, lui no, volava sicuro nel cielo e prendeva sempre più quota: era bellissimo, era veramente l’aeroplano più bello del mondo.
Anche oggi dopo ogni gol e dopo ogni vittoria, penso sempre a quell’abbraccio fortissimo che mi tolse il respiro ed a quel nostro aeroplano di carta che, in quel caldo pomeriggio del 65, salutò la mia “prima”, volando felice sopra la gente. Quell’aeroplano vola ancora, non ha mai poggiato le sue ali e, come per magia, ogni volta che parlo e penso di Reggina, lo vedo alto, sicuro di sé, che prende quota, sopra la testa di tutti, tra la terra e il cielo, tra me e il mio meraviglioso grande Papà.
Alfredo Auspici.
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