Da un calciatore che ha vestito l’amaranto più di 30 anni addietro, ed oltretutto per un solo campionato, ti aspetti ricordi parecchio sbiaditi, magari impreziositi da qualche riferimento storico. Ed invece, con grande sorpresa, Giuseppe Beretta la stagione 80/81 se la ricorda istante dopo istante. Come il tempo non fosse passato mai, come se al telefono di Tutti Figli di Pianca stesse parlando un’autentica bandiera, o se preferite il più incallito dei tifosi.
“Ero reduce dall’esperienza di Matera– racconta l’ex terzino al trio Auspici-Polimeni-Ielasi-, con i lucani eravamo riusciti a salire in serie B a dispetto di ogni pronostico, ma l’anno dopo retrocedemmo, anche perché la società non fu nelle condizioni di fare molti investimenti. Appena mi contattò la Reggina, dissi subito si: la chiamata di una piazza del genere, con addosso quella fame di calcio e quell’entusiasmo, non puoi che accettarla immediatamente. E’ vero, sono rimasto appena un anno, ma tanto è bastato affinché Reggio mi rimanesse nel cuore. Una città meravigliosa, un pubblico che ti trasmetteva passione ad ogni partita: se potessi tornare indietro di 40 anni, tornerei di corsa…“.
Parole sincere, emozioni incancellabili. Figurarsi se Beretta poteva dimenticare Rende-Reggina, gara che lo vide andare a segno di fronte ad un autentico ‘muro’ amaranto. “Per noi non era una novità avere così tanti tifosi al seguito, basti pensare che la domenica precedente, contro la Cavese, lo stadio Comunale era esaurito in ogni ordine di posto. In quel periodo le cose stavano andando bene anche a livello personale, tant’è vero che proprio nella vittoria con la Cavese, il gol del momentaneo pareggio ero stato io a segnarlo. Anche a Rende, riuscii a trovare la via del gol, anticipando tutti e mettendo dentro con un colpo di testa, a due passi dal settore gremito di sostenitori reggini. Mancavano circa 10 minuti alla fine, ed a quel punto eravamo convinti di poter portare a casa quella partita combattutissima…“. A distanza di quattro minuti dal gol di Beretta tuttavia, accade quello che non ti aspetti. “Se ci penso, ancora mi viene il nervoso. Il rigore che l’arbitro assegnò agli avversari infatti, fu davvero inesistente. Una vera beffa per noi e per il nostro straordinario pubblico, visto che senza quell’errore arbitrale, il Rende per come si erano messe le cose non avrebbe più trovato il pareggio“.
Quella Reggina a fine stagione arrivò quarta, rinviando nuovamente il ritorno nella cadetteria. “Non so ancora spiegarmi come abbiamo fatto a non vincere il campionato. Avevamo uno squadrone, costruito da una persona stupenda come Ugo Ascioti ed allenato da Adriano Buffoni, che oltre ad essere un grande tecnico era un grandissimo uomo. Ripensandoci, forse eravamo un po’ leggerini in avanti, visto che il nostro attacco segnò pochi gol, ma nel complesso quella squadra era nettamente la più forte del girone“.
Il calcio anni ’80 e quello di oggi, due mondi completamente diversi. “All’epoca un calciatore si sentiva parte integrante della città e della propria squadra. Si pensava prima di tutto al gagliardetto, ai colori, alla maglia. Ancora oggi, per quanto mi riguarda conservo foto e tantissimi ritagli di giornale di quella stagione a Reggio Calabria. Nel calcio moderno invece, tutto è cambiato a causa del dio denaro, i giocatori hanno perso determinati valori perché al primo posto viene lo show-business“. Forse anche per questo motivo, uno come Beretta ha detto addio al mondo che tanto amava. “Dopo aver appeso le scarpette al chiodo mi sono messo a lavorare in banca, ed oggi sono uno stipendiato dell’Inps (sorride, ndr). Ho saputo delle recenti disavventure della Reggina, spero che si riprenda presto- conclude- e torni negli scenari che le competono…“.
* foto tratta da materacalciostory.it
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