Si chiude dopo i calci di rigore la 44^ edizione della Coppa America, con i padroni di casa del Cile che alzano al cielo questo trofeo per la prima volta nella loro storia. Una bolgia lo stadio di Santiago, un tripudio per le strade del paese almeno fino al sorgere del sole. Il Cile entra nella storia del calcio, e lo fa probabilmente con la squadra più forte di sempre: da Bravo a Medel, da Vidal a Valdivia, da Mati Fernandez a Edu Vargas, per chiudere con Alexis Sanchez. Ed è proprio lui, il “Niño Maravilla”, a mettere a segno il rigore decisivo in una serie brevissima (appena 7 penalty calciati), contraddistinta dagli errori prima di Higuain, che spara in curva il pallone, poi di Banega, che si fa ipnotizzare da Bravo. L’estremo difensore dell’Albiceleste Romero le prova tutte, intuendo i primi tre palloni calciati dai cileni, e arrivando sempre ad un soffio dal compiere la sua missione.
Esulta il Cile, che vince la prima finale dopo aver perso le due precedenti disputate (l’ultima 28 anni fa), mentre continua la maledizione dell’Argentina, a secco di trofei dal 1993, nonostante negli ultimi vent’anni fior di campioni abbiano indossato la gloriosa maglia a strisce biancocelesti. Terza finale di Coppa America persa consecutivamente, ma soprattutto seconda finale persa in dodici mesi, dopo la sconfitta subita al Mondiale dalla Germania.
E pensare che proprio al 90′ l’Argentina ha avuto la più ghiotta palla-gol della partita, grazie ad una ripartenza di Messi e l’assist di Lavezzi sul secondo palo per Higuain, giunto però sulla sfera con una frazione di secondo di ritardo e in grado solo di colpire la parte esterna della rete. Questa la chance più nitida in 120 minuti, in una partita giocata a viso aperto da entrambe le squadre, attente a non lasciare spazi ai rispettivi reparti offensivi, altamente letali se lasciati liberi di nuocere; ma è stata anche una battaglia senza esclusione di colpi, in cui l’agonismo è stato il protagonista indiscusso. L’Argentina perde Di Maria dopo mezz’ora per un problema muscolare, sostituito dal “Pocho” Lavezzi. Nel finale di gara le squadre si allungano e si affrontano colpo su colpo, con i supplementari che incombono e la stanchezza di una stagione giunta alla battute finali che inizia a pesare sulla tenuta sia fisica che mentale.
Che abbia vinto la migliore è impossbile stabilirlo: i calci di rigore sono un mezzo subdolo per determinare un vincitore, un “uno contro uno” tra portiere e rigorista che concentra una tensione densa come un blocco di granito in appena 11 metri. Freddezza, lucidità e precisione, in bilico sopra il filo dell’emotività .
Nella finale per il terzo posto, giocata meno di 24 ore prima, il Perù ha ottenuto il gradino più basso del podio per la seconda edizione consecutiva. Peruviani che, più tecnici rispetto al Paraguay, legittimano la superiorità nei confronti dell’avversario grazie a due reti nella ripresa, in apertura e in chiusura di tempo, grazie a Carrillo e Guerrero. La Blanquirroja si augura che questo ottimo piazzamento possa essere un buon viatico in vista delle qualificazioni per il Mondiale russo del 2018.
Una piccola curiosità statistica riguardante il Paraguay: nelle ultime due edizione della Coppa America, nonostante abbia ottenuto un secondo e un quarto posto, in 12 partite giocate ha vinto solo una volta, contro la Giamaica in questa edizione. Nel 2011 aveva passato il girone eliminatorio con 3 pareggi, vincendo ai rigori sia quarti che semifinali, venendo sconfitto dall’Uruguay in finale. Un secondo posto senza vittorie. Stavolta perlomeno un successo è arrivato.
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