Non si sono ancora spenti, gli entusiasmi derivanti dalla storica salvezza ottenuta dalla Reggina a discapito del Messina. Due derby vinti proprio quando contava di più, una vittoria in casa dei “cugini” giallorossi che mancava dalla bellezza di 26 anni. Un campionato pieno di sofferenze e delusioni (probabilmente, il più brutto della storia amaranto…), si trasforma come per incanto in una stagione che, per come è finita, alla fine dei conti verrà ricordata col sorriso.  La magia del calcio, così come abbiamo già detto, è racchiusa in momenti del genere. Certo, da domani sarà tempo di pensare al futuro, un futuro che passa necessariamente dalla trattativa per la cessione della società . Uno snodo cruciale, decisivo, persino più importante del derby dello Stretto. Bisogna ricostruire in tempi brevi, bisogna ricostruire in fretta.
Prima di gettarci a capofitto in quella che sarà un’estate “caldissima” per tutto il popolo amaranto, ci sembra doveroso fare ancora qualche passo indietro, e continuare ad analizzare l’annata da poco consegnata agli archivi. Questa salvezza, che ripetiamo passa attraverso bocconi amari e pagine grigie, agli occhi di chi scrive era l’unico obiettivo possibile fin dallo scorso luglio, viste le evidenti difficoltà in cui la Reggina si è trovata sin dal primo istante (vedi iscrizione sul filo di lana, ritiro cominciato in netto ritardo e chi più ne ha più ne metta). Un traguardo da cui ripartire, facendo tesoro degli errori. Un traguardo minimo (a renderlo speciale, è  stato l’epilogo…) ma allo stesso tempo meritato.
Proprio quest’ultimo concetto, merita un ulteriore approfondimento. Perché la Reggina non ha rubato nulla a nessuno, ed il mantenimento del calcio professionistico è riuscita a conseguirlo sul campo, dimostrandosi più squadra del Messina nei 180 minuti che valevano l’intera stagione. Ci è piaciuto molto, lo stile con cui gli amaranto hanno vissuto l’impresa del San Filippo. Dall’invito firmato David Di Michele a non mancare di rispetto agli sconfitti fino all’augurio di Tedesco che il Messina possa essere ripescato, senza dimenticare il pensiero rivolto ai giallorossi da parte del Presidente Foti. Ci sono piaciute molto di meno, pur sforzandoci di capire l’amarezza dei diretti interessati, le dichiarazioni di Ferrigno e Di Costanzo, secondo le quali “il campionato è stato falsato dal Coni” e “tutte e due le squadre meritavano di retrocedere“. Allo stesso modo, restiamo sconcertati dai continui “anatemi” provenienti da alcuni colleghi di Torre Annunziata, che sperano che il club di via delle Industrie possa retrocedere attraverso i provvedimenti inerenti il calcioscommesse oppure attraverso il fallimento.
Signori, giù le mani dalla Reggina. Perché avete ragione a sostenere che questo calcio è malato e deve essere immediatamente rifondato e riformato quasi a tutti i livelli, ma la Reggina di questo calcio non è stata complice, bensì vittima. Vittima di un accanimento sistematico e quasi difficile da spiegare. Provateci voi, a giocare un campionato in cui vieni retrocesso a tavolino, in cui non sai più quanti punti hai in classifica, in cui le penalizzazioni ti vengono prima date e poi tolte (e sia chiaro, questo non vuole essere un alibi per nessuno, è solamente un dato oggettivo), in cui i deferimenti arrivano con mesi e mesi di ritardo.
La scelta del Messina, che a Torre Annunziata si è presentato letteralmente “privo di stimoli”, è stata sacrosanta, a parti invertite sarebbe successa la stessa cosa. Allo stesso tempo però, i peloritani si sono presi un rischio bello e buono, perché sapevano che ancora non era finita, che il ricorso della Reggina alla Corte del Coni non era certo basato sul nulla. Tutti, dalla Sicilia alla Campania, hanno fatto finta di dimenticare che il primo grado di giudizio aveva dato ragione al club di via delle Industrie. Tutti, dalla Sicilia alla Campania, hanno provato a sostituirsi al terzo grado di giudizio, definendo “inammissibile” (sulla base di cosa poi, ci piacerebbe saperlo), il ricorso in questione. Il Coni non ha falsato niente, ha solo fatto giustizia. La decisione scandalosa semmai, è stata quella della Lega, che in attesa di un verdetto così importante aveva l’assoluto obbligo di bloccare i playout e rinviarli di una settimana.
Ma di questo, la Reggina non ha colpe. La Reggina ai playout ci è andata sul campo, così come dice chiaramente la classifica senza penalizzazioni. La Reggina non ha colpe, se il Messina in 19 partite (DICIANNOVE!) è riuscita a vincere solo contro una Salernitana già in vacanza, se non ha mai trovato la via della rete nella doppia sfida playout. A livello di tifoserie, né Reggio né Messina avrebbero meritato la serie D, su questo non ci sono dubbi: a testimoniarlo, i quasi 18.000 spettatori registrati tra andata e ritorno di una “semplice” sfida per la sopravvivenza. Ma oltre a fare mea culpa per aver vinto una partita su diciannove, il club giallorosso dovrebbe fare mea culpa anche per aver preparato il derby attraverso social e dichiarazioni davvero inopportune (altro che hacker!). A Reggio invece, squadra e società hanno pensato solo al rettangolo verde ed al lavoro. I risultati, si sono visti…
Capitolo Savoia. “Comunque vada, onore a quegli encomiabili ragazzi“, era stato detto a chiare lettere su Rnp in attesa del giudizio del Coni. Un concetto che non cambia di una virgola, e che a scanso di equivoci ribadiamo anche oggi. Chiarito questo, anche a Torre Annunziata dovrebbero spiegarci a cosa serve accanirsi contro la Reggina, a cosa serve gettare continuamente fango su una società che di certo non ha fatto alcun torto ai colori biancoscudati.
Si, questo è un calcio malato. Ed in mezzo alle macerie di questo calcio, la Reggina è riuscita ad evitare l’oblio, senza rubare niente. Con buona pace di chi ha parlato e continua a parlare a vanvera, invece di scegliere un rispettoso silenzio…
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