“Guardalo l’allenatore/ a bordo campo pronto a cominciare/ determinato nel voler cercare/ una vittoria che lo può salvare“. Guardateli,  Francesco Ferraro e Franco Viola. Fatevi assorbire dai loro sguardi, rudi, profondi, battaglieri,  mediterranei nel loro saper scovare orizzonti indistinguibili agli altri. Perdetevi nei loro gesti, significativi più delle parole, perché i gesti implicano fatti,  e i fatti sono l’unità di misura dell’essere convincenti. Dell’essere uomini, prima ancora che uomini di calcio. Entrambi, vi metteranno d’accordo su una cosa: più sono difficili le sfide, più val la pena viverle.
Lo sa bene Francesco Ferraro, l’uomo delle missioni impossibili. Per inteso: guida da due anni l’Hinterreggio in condizioni difficili sui più svariati punti di vista, ma riesce lo stesso ad ottenere i risultati che lui, prima di tutti, ha puntato con i suoi occhi mediterranei. Ha guidato la squadra tra i problemi economici, tra le mancanze di campi di allenamento,  tra l’incertezza sui luoghi e i tempi di disputa di una sfida. Roba da venir voglia di gettare la spugna. Lui no. Lui è rimasto in sella,  lì, su quella “panchina calda come il sole“, e la vittoria con la Tiger Brolo,  che vale praticamente la salvezza, certifica che sei tra i migliori anche se la tua squadra occupa solo il nono posto.
E lo sa bene anche Franco Viola, che per coraggio non ha nulla da invidiare al collega. Ha preso in mano le sorti della Gioiese con l’intento di trasformarla, di creare un gruppo, di far partire dallo spogliatoio la catarsi dei pianigiani. E ci è riuscito. Alzi la mano chi avrebbe immaginato che, a questo punto della stagione,  la Gioiese potesse essere addirittura fuori dalla griglia play-out. Quota 30 punti è una boa, esserci arrivato è quasi un capolavoro. La firma, ovviamente, è la sua: Viola. Un nome, un destino.
Se avessero quindici anni di più,  andrebbero chiamati maestri.
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