Black monday. E’ un lunedi particolarmente nero quello della Reggina: al deludente, quasi umiliante, pareggio interno con l’Aversa Normanna c’è da aggiungere il doppio deferimento, l’ultimo della lista. Se al peggio, seguendo quanto espresso dal detto, ‘non c’è mai fine’, la Reggina sembra intenzionata a conoscere nuovi e inesplorati abissi. Dal maledetto spareggio play-off con il Novara all’1 a 1 con i modesti campani incorniciato dai fischi del Granillo, è stato tutto troppo brutto. Ma maledettamente vero. Perfino un glorioso Centenario, solitamente festeggiato e onorato, è finito presto nel dimenticatoio, cancellato dai disatri sportivi del presente. I tifosi amaranto, comprensibilmente stanchi per una debacle che prosegue indefessa da  almeno dodici mesi, hanno fatto capire di aver perso la pazienza. Più di Cozza o i giocatori, nel mirino delle contestazioni è finito il presidente Foti, primo rappresentante della società e quindi primo responsabile di una crisi senza fine.
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Quando le ragioni di un insuccesso sportivo non sono squisitamente tecniche è ancora più preoccupante, perchè la via d’uscita ha natura misteriosa. La Reggina (nella passata stagione tra i cadetti cosi come in questi primi mesi in Lega Pro) ha valori superiori ad alcune contendenti, ma non riesce ad esprimerli. La formazione allenata da Cozza, seppur con limiti legati al reparto arretrato e all’incisività negli ultimi sedici metri, non può essere paragonata ad almeno 7-8 squadre del girone C. La classifica però recita penultimo posto, anche se con il fardello della penalizzazione. Potenziale disperso, non sfruttato, che è complice del naufragio. L’errore macroscopico di un giocatore della qualità di Di Michele fa capire che le cause non sono da ricercare nell’inferiorità tecnico tattica rispetto agli avversari.
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Carattere e consistenza psicologica sono del tutto carenti, deficit arcinoti in casa amaranto. Cambiano gli interpreti e i comandanti, le lacune rimangono e anzi sembrano accentuarsi. Per quale ragioni? Una risposta valida meriterebbe un premio consistente. Le motivazioni di un tale ‘virus’, cosi difficile da estirpare, sono difficili da rintracciare e probabilmente multifattoriali. Nella fattispecie non è certamente il caso di appellarsi alla sfortuna, o ai cosiddetti ‘cicli’ che hanno una naturale conclusione. A Cozza e Foti il compito di trovare una possibile soluzione, con il tempo che gioca a sfavore. Rimane la paura, sensazione che corre al fianco della delusione. Il timore palbabile è quello di non aver assistito all’ultimo tonfo. In campo e di categoria. Il sipario a quel punto sarebbe l’unica conclusione possibile. Ultima stazione di una corsa che pare inarrestabile…
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pa.rom. – rnp
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