Quando un uomo si aggrappa all’aritmetica, in ambito sportivo e più prettamente calcistico, vuol dire che o è finita o, concretamente, manca davvero pochissimo.
“Fin quando non ci condanna l’aritmetica daremo il massimo per provare a raggiungere l’obiettivo”. Lo hanno detto sempre i protagonisti di percorsi sportivi finiti male, quasi a voler imputare, in maniera inconscia e silenziosa, le proprie debolezze a dei numeri messi in fila, mentre la condanna più sostanziale va ricercata nei propri sbagli.
“Fin quando non ci condanna l’aritmetica”. “Fin quando non ci condanna l’aritmetica”. “Fin quando non ci condanna l’aritmetica”. È capitato anche alla Reggina dopo la sconfitta col Latina. E sono frasi fuggite a uomini che sanno di aver perso la retta via, dopo un lavoro rigenerante che nessuno si poteva aspettare, e di cui va dato comunque atto anche se gli annali riporteranno quella del Centenario come la più grande sconfitta che, a memoria di elefante, si possa ricordare. Ma la rimonta, che in mezzo a tanto scoramento è stata a tratti anche esaltante, ha finito col riflettere in maniera indiscutibile la sintesi della stagione amaranto. Quella dell’illusione sgretolatasi in mille coriandoli di disincanto già dopo poche settimane.
Sì, perché le vittorie contro Bari, Lanciano, poi Carpi, avevano fatto ricredere tutti, o quasi, sui giudizi dati, forse in maniera troppo frettolosa, ad una squadra che a gennaio in tanti avrebbero volentieri disintegrato col mercato di riparazione. Ma, in maniera altrettanto frettolosa, si è pensato che i mali evidenziati in un girone potessero essere stati archiviati in poche settimane. Non è stato così e, anche se “la matematica non ci condanna”, la fine si fa tangibile da ieri pomeriggio.
Non ce ne voglia Gagliardi che è un combattente e sicuramente sarà l’ultimo ad arrendersi, ma l’orizzonte della Reggina non sembra essere la partita di Padova, bensì un obiettivo più lontano che va oltre il raggiungimento dei play-out e sfocia, inesorabilmente, nel futuro a lungo termine del club. Le possibilità di salvarsi quest’anno sono ridotte al lumicino: un punto di penalizzazione, probabilmente, potrebbe allontanare gli amaranto in maniera ancora più evidente dalle concorrenti. Il campionato può riservare colpi di coda, ma ad ora le uniche sorprese (?) paiono essere negative. Del deferimento si parla da settimane, ma al di là di quello che può succedere, la Reggina di oggi appare un club soffocato, dalla crisi e dalla cattiva gestione degli ultimi anni.
Lo scenario, poi, si completa in un atmosfera di apatia collettiva. La tifoseria forse non si rappresenta più in Foti, ma, comunque, l’ex presidente, è stato lasciato solo anche dalla sua gente. È un capitolo a parte ed è impensabile poterlo esemplificare in poche righe, perché è più ampio. La Reggina in difficoltà è la maschera triste di Pierrot, e dietro c’è il panorama “psicosociale” di una città completamente distaccata che, oggi, è vicina ai propri rappresentanti sportivi solo nei momenti di felicità, ed è pronta a criticare tutto e tutti in frangenti come questo. Legittimo, assolutamente: giusto, interpretandola per certi versi. A Bari, però, c’è un club con difficoltà simili a quelle della Reggina, ma un moto d’orgoglio ha colorato i gradoni del San Nicola di biancorosso. Contro Crotone e Latina il Granillo, invece, ha lasciato buchi quasi terrificanti, a fronte di appelli ripetuti da tutti. Il momento della Reggina, già di per se difficile, si è fatto tragico. Ma nessuno può sentirsi escluso. Se fine sarà (e fine non vuol dire solo retrocessione), la colpa sarà di tutti. Perché vincere insieme è facile. Perdere, evidentemente, no.
Francesco Mansueto – Reggionelpallone.it
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