Il comandante della portaerei. Quella vera, diffidate dalle imitazioni. Il prossimo Pescara-Reggina evoca nei tifosi amaranto un ricordo dolce come pochi altri. L’antipasto di un sogno. Era il 1999, con la vittoria sulla formazione abruzzese gli amaranto misero la firma indelebile su quella che sarebbe diventata la prima, storica, promozione in serie A. Cannarsa (suo malgrado) e l’idolo Possanzini i portavoce di un popolo che iniziava a credere davvero nella possibilità del grande salto. Serviva un uomo di polso ed esperienza per guidare un gruppo di incoscienti verso il Paradiso. Maciste (basta il soprannome) era l’uomo adatto. Bruno Bolchi racconta a RNP delle irripetibili sensazioni provate nel rush finale di quel campionato: “Da allenatore ho ottenuto sei promozioni in carriera, ma devo dire che quella conquistata con la Reggina è unica. Principalmente per due motivazioni. Si trattava del primo salto in serie A per la società amaranto, e poi ho preso il comando della squadra a poche giornate dal termine. Anomalia mai provata prima”. Il presidente Foti, con coraggio, destituì Gustinetti affidandosi all’esperienza di Bolchi. Che sulle prime rispose stupito: “ ’Siete sicuri di quello che state facendo?’ Dissi questo a Franco Iacopino. Mi convinse Foti, con parole mirate. ‘Credo nella promozione, ma devi essere tu a guidare la squadra, altrimenti non ce la faremo’, mi disse. Mi convinse, ed ebbe ragione”.
Come si prende il comando di una formula uno a forte rischio testacoda a poche curve dal traguardo? Nessun segreto. O forse si. Farsi guidare dall’esperienza: “Senza quella non sarei riuscito a portare la Reggina in serie A, bisognava fare i conti con l’intensità e una pressione mai provata prima. La mia fortuna è stata quella di conoscere a menadito il campionato cadetto, ne avevo già venti alle spalle da allenatore. Il gruppo era ristretto, 15-16 giocatori appena. Preferisco cosi, piuttosto che le rose extralarge che vanno tanto di moda oggi”. I capelli imbiancati sono sinonimo di saggezza e aiutano nelle scelte. Come quella, confidata da Bolchi 15 anni dopo, che facilitò il compito della Reggina in quell’infuocato pomeriggio all’Adriatico…: “Durante la settimane lessi dai giornali che De Canio, per far fronte all’assenza di un difensore squalificato, meditava di arretrare Allegri, solitamente centrocampista offensivo. Conoscevo e apprezzavo le qualità di Allegri, ma sapevo che schierarlo in difesa poteva comportare dei rischi. Decisi quindi di piazzare Possanzini, il nostro giocatore maggiormente rapido e imprevedibile, sistematicamente dalle sue parti. La scelta fortunatamente si rivelò azzeccata. In caso contrario nemmeno l’avrei confessato (ride, ndr)”.
Un passo indietro. Quella magica esperienza alla guida della Reggina fu in realtà la seconda in riva allo Stretto. Le strade di Bolchi e della società amaranto si incrociano per la prima volta nel 1989. Il fiore all’occhiello attuale, il centro S.Agata, nasceva in quel periodo: “L’allora presidente Benedetto mi portò nella zona dove sarebbe stato costruito. Mi disse ‘Vedi, qui costruiremo il nostro futuro’. Ero perplesso, davanti ai miei occhi c’era una discarica, notavo solo frigoriferi, materassi e lampadari ammassati. E invece sono stati bravissimi, il S.Agata è stato un esempio per molte società”. Una squadra con ambizioni limitate terminò invece la stagione al sesto posto. Nel gruppo a disposizione di Bolchi c’era anche Diego Zanin, attuale co-allenatore amaranto: “Era un ragazzino di qualità, faceva parte di una nidiata di giocatori veneti, tutti bravi. Una citazione particolare per Massimo Orlando, trequartista dal talento sopraffino. Arrivammo sesti, fu una stagione positiva e che permise di gettare le basi per la Reggina del domani”.
La Reggina del Centenario rischia di sprofondare. Proprio il prossimo Pescara-Reggina potrebbe donare agli amaranto la linfa vitale da cui estrarre nuova speranza: “Spero che il cocktail delle guide tecniche, con le capacità del giovane Zanin e l’esperienza di Gagliardi, permetta alla Reggina di ottenere la salvezza, impresa non semplice. Spesso gli appelli si lanciano dall’interno, con l’intento di avvicinare i tifosi alla squadra. Mi permetto invece di farne uno dall’esterno, con affetto. Il popolo amaranto, che noto un po’ raffreddato e deluso, deve stare accanto alla squadra in questo finale di stagione. La Reggina non può perdere la serie B, è un patrimonio di tutti”.
pa.rom. – rnp
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