In ogni cosa c’è un percorso. Un inizio, uno svolgimento e una fine. Nevio Scala, padovano classe 1947, ha seguito il suo personale tracciato: giocatore, allenatore, adesso commentatore radiofonico. Per chi non lo sapesse, parliamo di un campione del mondo. Alla guida del Borussia Dortmund ha conquistato la Coppa Intercontinentale, quando ancora era orfana di squadre provenienti da ogni dove. Correva il 1997, e la squadra tedesca battè 2 a 0 i brasiliani del Cruzeiro, alzando il trofeo. Il cammino intrapreso da Scala, l’ha portato poi a farsi un giretto per l’Europa (Besiktas, Shaktar Donestsk e Spartak Mosca) prima di chiudere la carriera di allenatore nel 2004.
Tutto ha un inizio, quindi. In principio fu Reggio Calabria, 1987: un allenatore agli esordi e una società appena rinata, un mix apparentemente fragile e impaurito, e che invece si rivelò irresistibile. Dalla serie C alla serie A in due anni, tutto vero. Anzi no, uno spareggio, seguito dall’ineluttabile lotteria dei calci di rigore: la ruota girò storta agli amaranto, che rimasero nel campionato cadetto. Il cammino di Scala continuò, versi altri lidi.
La recente vittoria del mondiale per club da parte dell’Inter è il primo argomento affrontato:
Scala, l’Inter è campione del mondo. Lei sa bene cosa significa.
“Un’emozione indescrivibile, credo che a livello di club sia il punto più alto nella carriera di un giocatore o di un allenatore. La tensione è tanta, impossibile non sentirla. All’epoca poi si trattava di un solo scontro diretto, sapevi di non poter fallire”.
Meglio la vecchia formula o la novità del Mondiale per Club?
“Secondo me il prestigio della Coppa Intercontinentale non ha eguali. Giocavi a Tokyo, in un’atmosfera spettacolare, di fronti avevi la vincente della Coppa Libertadores, capitavano sempre squadre insidiose. Senza nulla togliere all’Africa e all’Asia, non credo sia la stessa cosa affrontare squadre come River Plate o San Paolo, rispetto ai congolesi del Mazembe”.
Da un punto di vista psico-fisico come si affronta una sfida “irripetibille”?
“Fisicamente si può fare poco. Salti giusto due partite di campionato e non hai il tempo di fare una preparazione adeguata. La chiave è l’aspetto psicologico: credo sia sottovalutato questo fattore, per me invece ha un’importanza fondamentale. Alla vigilia della finale cercavo di far capire ai ragazzi la rilevanza della sfida, contemporaneamente però dovevo abbassare la tensione, che era alle stelle”.
Un suo ricordo particolare di quella partita?
“Le notti insonni. Poi una curiosità che forse in molti non conoscono: il Cruzeiro teneva moltissimo a quel trofeo, forse più di noi. Arrivò a cercare di tesserare giocatori forti, “last minute”, con leggi inventate ad hoc. La mia insonnia non poteva che peggiorare quando seppi di questi tentativi” (sorride, ndr). “Meno male che tutto finì con un nulla di fatto, e noi vincemmo con merito quella Coppa”.
Campione del mondo con il Borussia, tutto partì da Reggio Calabria…
“Esperienza indimenticabile. Per me i due anni vissuti alla Reggina sono stati i più belli della mia carriera, lo dico senza piaggeria. Ha presente quando si dice: “Il primo amore non si scorda mai?”, per me è stato così. Ero agli esordi come allenatore, vivevo tutto in modo particolare. Ricordo ogni cosa di quei due anni”.
Potremmo dire una promozione, e mezzo.
“Il primo spareggio contro l’Alzano a Perugia, sembrava di giocare in casa, tutto lo stadio era amaranto. La promozione in serie B e la cavalcata verso la serie A, un campionato giocato al di là di ogni aspettativa. Porto tutto nel cuore”.
Il secondo anno un altro spareggio, questa volta fatale. Rimpianti?
“Quando perdi ai rigori, hai poco da rimproverarti. Anche di quella partita ricordo lo stadio infuocato, quasi tutti nostri tifosi. La cosa che mi fa più rabbia e che sbagliarono i rigori proprio Onorato e Armenise, solitamente infallibili dal dischetto. Evidentemente non era destino”.
Si concluse così l’esperienza in amaranto. Tornando indietro con la memoria, solo episodi positivi per Scala?
“A essere sinceri, non ho ben capito perché non sono stato confermato. La società non mi chiese che intenzioni avevo, sarei rimasto volentieri. Forse non mi contattarono perché temevano una mia richiesta di aumento dell’ingaggio, ma ormai poco importa. Nonostante il finale non proprio idilliaco, conservo un buon ricordo anche della società”.
Segue le vicende degli amaranto quest’anno? La squadra è in zona playoff.
“Non conosco bene l’organico, giusto qualche giocatore, ad esempio Bonazzoli. So che la squadra ha avuto due anni difficili, quest’anno invece sembra poter lottare per la promozione. Mi auguro che ce la faccia, se lo meritano la città e i tifosi”.
Cosa vuole dire Scala a una piazza che non ha mai dimenticato la sua Reggina?
“Che porto quei due anni nel cuore. A Reggio ho lasciato amici, vissuto momenti indimenticabili. Voglio fare a tutta la piazza i miei più sinceri auguri di natale, sperando di rivedere al più presto la Reggina in serie A”.
Un inizio in sottofondo, un travolgente cammino e un epilogo, non dei più felici. Il percorso di Scala, una volta incrociato quello della Reggina, ha dato vita a uno dei sogni più belli per la società amaranto. Se dopo vent’anni ancora se ne parla, e i protagonisti conservano ricordi del genere, vuol dire che ne è davvero valsa la pena di sognare.
Pasquale Romano
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