(prima parte)- Quella del doping potrebbe sembrare una tematica recente, nata con lo sviluppo farmacologico e con il progresso delle tecniche mediche, ma in realtà fonda le sue radici in epoche antichissime. Addirittura il vescovo di Milano, Ambrogio, in una lettera all’Imperatore Teodosio, denuncia nel 393 d.C., in occasione di quelle che saranno poi le ultime Olimpiadi dell’Antichità, l’utilizzo di “misture diaboliche e droghe sconosciute in grado di alterare la fluidità del sangue degli atleti”. Anche l’etimologia del termine doping è più arcaico di quanto si pensi: a discapito di quanti ritengano derivi dall’inglese “dope” con cui si indica l’assunzione di sostanze farmacologiche o fisiologiche non consentite in quantità anomala, alcuni studiosi hanno ricavato una radice linguistica in ciò che antichissime popolazioni africane chiamavano “Dop” ovvero la pozione ricavata da un estratto liquoroso eccitante che veniva bevuto durante le cerimonie religiose. Il “salto temporale” affinché si torni a parlare di doping è però piuttosto lungo, infatti per molti secoli non si trova menzione storica di pratiche “dopanti” anche perché dopo la caduta dell’Impero Romano le competizioni olimpiche e le altre attività agonistiche vennero interrotte fino alla reintroduzione delle moderne Olimpiadi nel 1986 per merito del barone de Coubertin . Contemporaneamente alla ripresa delle competizioni sportive si assistette alla ripresa della pratica del doping: gli atleti assumevano sostanze zuccherine, caffé, alcool ma anche stricnina e nitroglicerina che potevano sortire effetti collaterali talora gravemente invalidanti se non addirittura mortali. Le nuove scoperte e sperimentazioni in campo farmacologico portarono alla fine dell’Ottocento ad un aumento dei casi di doping e della gravità degli stessi, ma nonostante ciò fu solo nel 1967 durante una tappa del Tour de France, a seguito del decesso di un ciclista, Tommy Simpson, avvenuto per cause riconducibili a un mix di anfetamine e al grande caldo, che per la prima volta nell’epoca dei “nuovi media” emerse alla ribalta delle cronache il problema dell’uso di sostanze potenzialmente mortali in ambito sportivo. Già nell’anno successivo, il 1968, alle Olimpiadi di Città del Messico il Comitato Internazionale Olimpico istituì la pratica dei controlli antidoping stilando altresì un elenco di sostanze proibite e dando il via alle prime squalifiche per coloro i quali erano trovati positivi ai test.
LA “WADA”:L’agenzia mondiale antidoping o World Antidoping Agency ( WADA), i cui membri sono per metà rappresentanti del movimento olimpico e per l’altra metà rappresentanti di organizzazioni statali, è stata fondata a Losanna nel 1999 nella forma di una fondazione di diritto svizzero, la sua sede è a Montreal, Canada. Il programma mondiale antidoping della Wada è stato approvato nell’ambito di una conferenza mondiale nel 2003 ed è stato ratificato anche dal CIO.
Con la sua entrata in vigore all’inizio del 2004 il codice Wada ha sostituito il codice antidoping nel Movimento Olimpico e da Atene 2004 è valido anche per i Giochi olimpici . Il programma si compone dei seguenti elementi : 1. Il Codice Wada (Wadc); 2. standard internazionali; 3. regole di buona prassi. Accanto alle procedure di indagine e ricerca dei casi di doping la Wada si adopera diffusamente per la sensibilizzazione di tutti i praticanti sportivi sui problemi dell’uso e dell’abuso delle sostanze proibite elencate nelle sue liste, cercando la fattiva collaborazione con gli apparati scolastici e Universitari di tutti i paesi aderenti .In attuazione del codice unico antidoping è stato approvato con delibera del Coni nel 2000 un regolamento che fissa una disciplina più severa ed in particolare definisce la nozione giuridica di doping . L’art. 1 co 1 stabilisce infatti che per doping si intende: A) la somministrazione l’assunzione e l’uso di sostanze appartenenti alle classi proibite di agenti farmacologici e l’impiego di metodi proibiti da parte di atleti e soggetti dell’ordinamento sportivo; B) il ricorso a sostanze o metodologie potenzialmente pericolose per la salute dell’atleta o in grado di incrementarne artificiosamente le prestazioni; C) la presenza nell’organismo dell’atleta di sostanze proibite o l’accertamento del ricorso a tecnologie non consentite facendo riferimento all’elenco emanato dal Cio ed ai successivi aggiornamenti.
Ivana Veneziano
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