Non è ancora finita. E’ questo il verdetto dell’Arechi per la Reggina. Passano a Salerno gli amaranto e la gioia del gruppo, contenuta ma vera, è un segnale incoraggiante. Piegare il fanalino di coda non è impresa da tramandare ai posteri eppure lascia intuire, ed è forse questo il messaggio principale, che la Reggina ha imparato la lezione. Niente nel calcio, ancor di più in serie B, a maggior ragione in riva allo Stretto, può esser dato per scontato.
“Siamo qui per vincere”, era il nefasto biglietto da visita che la Reggina esibiva nella scorsa caldissima, ingannevole estate. Poche parole che racchiudono l’abisso che allontanava il sodalizio di Via delle Industrie dalle proprie origini. Sacrificio, umiltà , basso profilo, identificazione d’una squadra animata dal desiderio d’affermarsi in una città che sembrava attendere l’occasione del riscatto da sempre. C’era convinzione ed ardore, coscienza che ogni risultato raggiunto, dalla semplice vittoria ad una complessa salvezza, fosse un’impresa nient’affatto dovuta, da celebrare adeguatamente. Come un trionfo. Quello slogan arrogante e supponente alimentava fatue illusioni e, soprattutto, spazzava via idealmente tutto quanto di buono la Reggina aveva costruito. E stava alla base di ogni suo successo.
Era mancata la “calabresità ” più genuina, quella che permette di arrivare al traguardo procedendo a fari spenti, senza inutile baccano ma spinti, soltanto, dalla fiera coscienza delle proprie qualità . Ed è proprio questa “calabresità ” che dev’esser ritrovata.
Bisogna ricordare che questa squadra rappresenta ed è espressione di Reggio. E non è Foti, Martino, Rosati, Breda, Novellino, Iaconi o chicchessia a perdere o vincere. A vincere, o perdere, è sempre e soltanto, prima di tutto, Reggio. Bisogna uscire da un provincialismo esasperato ed improduttivo rinsaldando il legame tra la squadra ed il territorio. Ritrovare, insieme, la voglia di stupire.
La città chiede un impeto d’orgoglio per salvare categoria, dignità e storia sportiva di questa società . Dopo un campionato del genere, con tutti gli errori tecnici e dirigenziali, non è scontato come sembra poter urlare d’esser ancora vivi.
Il futuro del calcio a Reggio passa da queste nove partite. Quattro successi ancora, 13-14 punti, salvarsi e scacciare via un incubo tremendo che già troppo a lungo ha minacciato lo Stretto.
Da questa stagione si può ripartire. Aver visto il baratro terribilmente vicino deve aver scosso gli animi di chi ama la Reggina. Il sogno di Reggio non può finire qui.
Gianpiero Versace
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