C’era una volta un “catino” ribollente di tifo e passione, in grado di mettere i brividi a qualsiasi avversario ci mettesse piede. Adesso non c’è più. Quel catino si chiamava Vestuti di Salerno, che col tempo cedette il testimone ad un impianto più grande e confortevole, in grado di “ospitare” la straripante passione del popolo granata, che per anni ha dato lezioni di tifo e di colore. Un muro umano, coreografie da brividi, spettacolo allo stato puro: all’Arechi di Salerno era dura per tutti, mentre la Curva Sud andava in estasi, nel vedere le magie dei ragazzi di Delio Rossi, autentici dominatori del campionato di B 97-98. Ricordi di un passato recente, che però oggi come oggi sembrano lontani anni luce. Ricordi che sicuramente restano nella memoria, ma che sono stati “ingialliti” da gestioni societarie probabilmente non degne di una piazza come quella di Salerno. Anche l’Arechi “delle meraviglie” insomma, al momento non c’è più.
A 450 km di distanza, una storia molto simile assume “nostalgiche forme”. E’ la nostra storia. Eh si, perché anche a Reggio “c’era una volta”: c’era una volta uno autentico tempio del tifo, che con un signore di nome Nevio Scala rischiava di diventare inaccessibile a coloro i quali non si presentavano almeno 2 ore prima dell’inizio di una partita. Si chiamava “Stadio Comunale”, e adesso non c’è più, perché nel tempo la favola Reggina si è tramutata nella leggenda dell’intero calcio calabrese, conoscendo dopo 85 anni un capitolo pieno di brividi ed emozioni: la serie A. Adesso il Comunale si chiama “Oreste Granillo”, in omaggio ad un presidente mai dimenticato, un’altra pietra miliare del calcio nostrano. L’aria che si respirava al Granillo era qualcosa di difficilmente descrivibile, con 30.000 persone che davano vita alla “partita nella partita”, allo “spettacolo nello spettacolo”. Il cuore di una squadra indomita e battagliera, che mostrava gli artigli a chiunque gli si parasse davanti, si chiamava anch’essa Curva Sud. Era come se la Reggina giocasse in 12 contro 11, e di questo se ne accorse anche la società, che ritirò la maglia numero 12, per omaggiare i suoi impareggiabili Ultras. Anche in questo caso però, momentaneamente parliamo di ricordi, marchiati a fuoco nell’anima di chi ama i colori amaranto.
Oggi Reggio e Salerno devono fare i conti con una realtà amara, che non rispecchia né il passato né le potenzialità di entrambe le piazze. Ad unirle, oltre alla condivisione dei “tempi duri”, un’amicizia fraterna, che profuma di antico. Ad unirle, c’è la voglia di non abbassare la testa, di non gettare la spugna. Eh si, perché sotto i ponti è passata tanta acqua, in campo sono cambiati giocatori e allenatori, nelle scrivanie sono cambiati presidenti e dirigenti. Ma quelle 2 Curve no, sono ancora lì, in casa ed in trasferta. Senza i “numeri” e lo spettacolo di una volta, ma sono ancora lì.
Domani sera la Reggina avrà a disposizione l’ultimo treno per evitare un dramma sportivo, mentre per la Salernitana sarà l’occasione di dimostrare che si può perdere una categoria, ma non la dignità. Vinca il migliore, nella consapevolezza che il risultato non potrà spezzare un legame tra 2 città, capace di squarciare i muri del tempo e delle categorie. Nella speranza che le cose cambino in fretta, perché Reggio e Salerno non possono certo accontentarsi di dire “c’era una volta”…
Ferdinando Ielasi
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